Quali sono le tue previsioni sul futuro del sistema dell’arte nel settore di cui ti occupi? Qual è la sfida più grande che dovrai affrontare?

Credo che tutti quanti abbiano capito che la sfida più difficile sia quella di accettare il confronto con le nuove tecnologie. In un mondo i cui tutto si compra con un click, dobbiamo aumentare la nostra efficienza senza snaturare il nostro lavoro. Non è facile contemplare velocità e professionalità. Sono due aspetti che appaiono inconciliabili, ma è utopistico tornare indietro e rimpiangere il passato.

Qual è il tuo background?

Sono partito dalla pittura antica, ho studiato a Pavia e a Firenze e mi sono specializzato alla Fondazione Longhi di Firenze. Inizialmente volevo diventare uno studioso, poi il destino mi ha portato verso il mercato e ho lavorato prima a Finarte e poi a Christie’s nel settore dell’arte moderna. Mi considero a tutti gli effetti uno storico dell’arte, non credo che ciò sia incompatibile con la professione di gallerista, anzi.

Quando e come hai fondato la tua galleria?

Ho fondato la mia galleria di Milano nel 2007, dopo aver lavorato quasi 10 anni nelle case d’asta. Mi sono reso conto che una cosa è vendere, un’altra studiare un progetto e realizzarlo. Nel 2015 ho voluto fondare un’altra galleria a Londra, sentivo il bisogno di uscire dai confini nazionali e di cimentarmi in un orizzonte più ampio. Sono contento di aver fatto questa esperienza, anche se con la Brexit le cose stanno cambiando rapidamente

Il tuo programma: di che tipo di arte ti occupi?

Mi interessa in modo particolare l’arte italiana del secondo dopoguerra. Credo ci siano ancora artisti poco conosciuti e apprezzati. La galleria deve giocare d’anticipo, è quello che ho cercato di fare con le mostre di Tancredi, Savelli, Calderara, Scarpitta, Accardi, Schifano, Prini, tutti artisti già conosciuti, ma di cui abbiamo voluto approfondire alcune tematiche. Credo che il lavoro del gallerista consista in questo.