La galleria Carlo Orsi si trova nel prestigioso Quadrilatero della moda, all’interno di un palazzo settecentesco. Fondata a Milano agli inizi degli anni Cinquanta dal padre Alessandro, è gestita da Carlo Orsi sin dal 1986.
La galleria è specializzata in dipinti e sculture italiani dal Quattrocento ai primi del Novecento. Partecipa alle più prestigiose fiere d’arte in Europa e oltreoceano: TEFAF Maastricht e TEFAF New York, la Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, Frieze Masters a Londra. Galleria Orsi sostiene da anni numerose istituzioni museali, concede in prestito opere e finanzia la pubblicazione di volumi, oltre a redigere cataloghi relativi a studi effettuati su specifiche opere ed artisti.
La galleria è inoltre impegnata nella sponsorizzazione diretta di associazioni culturali, pubbliche istituzioni e progetti di restauro.
“La chiave è il gusto. Mi piace spendere tempo con i collezionisti, aiutarli a formarsi un’opinione, accompagnarli nelle scelte.”
Carlo Orsi. Courtesy Galleria Carlo Orsi, Milano. Foto: Marco Cella
In conversazione con Carlo Orsi, Galleria Carlo Orsi
Com’è iniziato il tuo percorso nell’arte?
Ho avviato formalmente l’attività nel 1986 quando ho rilevato la galleria di mio padre Alessandro, ma la vocazione di mercante era emersa appena laureato, quando ho venduto un paio di oggetti ereditati dalla nonna e ho avuto i mezzi per mettermi in proprio. In quei primi anni il lavoro era frenetico: compravo di tutto, rivendevo velocemente per piccoli profitti. L’obiettivo era farmi le ossa, affinare l’occhio e il gusto.
Ci sono iniziative sociali, ambientali o educative collegate all’arte che hai intrapreso recentemente?
Sono Presidente dell’Associazione Amici di Brera, un’istituzione prestigiosa e antichissima – la prima in Italia – che sostiene la Pinacoteca con donazioni, restauri e acquisizioni che hanno reso il museo quello che è oggi. In pieno regime fascista – dopo i bombardamenti, la chiusura forzata, e pur sospettata di essere covo antifascista – l’Associazione acquista la Cena in Emmaus di Caravaggio, uno dei gioielli della collezione.
Il momento più complicato e il più felice, fino a oggi, della tua carriera?
Quando ho lasciato l’attività di mio padre e mi sono messo in proprio. Avevo ventisei anni. Ricordo il grande desiderio di autonomia, la voglia di tracciare un percorso personale, ma anche il timore di non riuscire misurarmi con la sua figura e l’incertezza di un futuro tutto da scrivere.
Un* gallerista da cui hai imparato i segreti del mestiere?
Ricordo con molto affetto l’antiquario veneziano Ettore Viancini. Uomo di grande cultura, dotato di una vocazione all’insegnamento che mio padre non possedeva. Andavo a Venezia e spendevamo i pomeriggi girando per le chiese e parlando d’arte, oppure chini sopra un quadro. Da lui ho imparato che un’opera non si valuta mai partendo dal nome.
Come costruisci il tuo rapporto con i giovani collezionisti? Come mantieni vivo quello con i collezionisti affezionati?
La chiave è il gusto. Mi piace spendere tempo con i collezionisti, aiutarli a formarsi un’opinione, accompagnarli nelle scelte. Vedere un giovane collezionista riconoscere e apprezzare la qualità regala grande soddisfazione, pari solo agli accesissimi scambi che ho con alcuni dei collezionisti più esperti, da cui peraltro finisco sempre per imparare qualcosa in un infinito processo di raffinamento del gusto.
“Do you have any unrealised project?”
Nessuno. Verrebbe da dire che sono stato fortunato, ma mi piace credere nella volontà piuttosto che nella fortuna. Se poi di fortuna vogliamo parlare, allora è stata la possibilità di coniugare passione e lavoro. La passione ti porta avanti anche quando senti la fatica, ma nel perseguimento dei miei obiettivi sono sempre stato sostenuto da un gramsciano “ottimismo della volontà”.