Un luogo legato al nostro territorio che sento di consigliare è l’Antro della Sibilla Cumana, residenza, secondo Virgilio, della leggendaria profetessa: uno dei maggiori luoghi di culto del mondo antico insieme con Delfi ed Eritre.
Ho sempre immaginato questo luogo – un tunnel spoglio, disabitato da secoli – e il suo culto – infilato tra le pieghe della cristianità partenopea, eterodossa e pluralista – la via sotterranea della storia e della cultura napoletana, del suo misticismo, della sua potente aura sacra, profana, maestosa e decadente.

Un luogo che richiama il marchio indelebile del fatalismo, del popolo rassegnato alla ineluttabilità degli eventi, del presunto limite atavico di una porzione geografica e di chi la abita, che al contrario ho sempre inteso come meccanismo di funzionamento sociale, di difesa passiva, sapientemente riciclato per assorbire il colpo della controriforma, del colonialismo e della globalizzazione.
L’Antro della Sibilla Cumana rappresenta un mito frammentario; un assemblage culturale votato alla legittimazione di una città e della sua cultura; la capacità di assorbire l’urto colonialista e di restituirlo sempre e comunque a modo suo.
Mi ha sempre colpito la volontà degli artisti di visitare l’Antro oracolare e la carica e l’energia che avvertivo nelle loro parole durante le visite a questo luogo. Mi piace leggere queste esperienze come la vitalità di un culto, che ancora oggi ha forza di legittimare la cultura, la storia e l’arte della sua città.