Capita che durante i numerosi week-end in cui mi trovo a Firenze ne approfitti per fare una gita fuori porta e spingermi fino in Umbria, a Città di Castello. Si tratta del luogo natale del grande Alberto Burri, dove nel 1978 venne inaugurata la sua Fondazione, che rappresenta, a mio parere, una meta imperdibile per tutti gli amanti dell’arte moderna italiana.

La Fondazione Burri è l’unico luogo al mondo in cui si possa godere dell’opera dell’artista in tutte le sue fasi, dagli inizi, con rare opere del 1949, fino alla fine degli anni Ottanta. La sede di Palazzo Albizzini – il palazzo un tempo di proprietà della famiglia che commissionò a Raffaello il famoso Sposalizio della Vergine oggi alla Pinacoteca di Brera – fu aperta nel 1989 a ospitare le serie più celebri dell’artista, in un allestimento curato da Burri stesso. Ci sono tutti: i “Sacchi”, le “Combustioni”, le “Plastiche”, i “Cretti” (compresi i bozzetti del Cretto di Gibellina e del grande Cretto nero di Capodimonte), i “Cellotex” e i “Ferri”, i miei preferiti. Si aggiungono poi opere meno conosciute, ma preziosissime, come alcuni bozzetti per mirabolanti scenografie teatrali con fondali in plastica o simili a cretti, e lo studio per il Teatro Continuo del Parco Sempione a Milano.

Terminata la visita, esco dal centro storico e mi dirigo in periferia, agli Ex Seccatoi del Tabacco, esempio riuscito di recupero di un’architettura industriale voluto e curato da Burri stesso. Dove un tempo si faceva seccare il tabacco, ora più di cento opere di grandi dimensioni realizzate tra il 1970 e il 1993 colpiscono il visitatore con la loro potenza. Prima di andare, mi fermo nella sezione museale che contiene tutta l’opera grafica dell’artista, e ammiro le tre enormi opere scultoree che abitano il giardino in un’atmosfera quasi sacrale di grande fascino.
