La prima volta che ho visto Palazzo Butera a Palermo, nel cuore dell’antico quartiere della Kalsa, fu in occasione di una visita a Gioacchino Lanza Tomasi, che per molti anni ha diretto eccezionalmente il teatro San Carlo a Napoli. È una delle dimore più belle e aristocratiche della città, e delle più ricche di storia di tutta la Sicilia. Nonostante fosse in stato di abbandono, ne rimasi totalmente affascinato.
In seguito, venni a sapere che era stato acquisito dai miei amici Massimo Valsecchi e Francesca Frua, che hanno avviato importanti lavori di restauro per riportare alla luce il suo splendore. Vanno menzionati in particolare gli affreschi eseguiti da Gioacchino Martorana e Gaspare Fumagalli datati intorno al 1760 e a cui si è ispirato David Tremlett per i suoi Wall Drawings, rileggendo in chiave contemporanea il tema della quadratura e dello sfondamento prospettico. Altro esempio di questa integrazione è la sala gotica, dove gli artisti francesi Anne e Patrick Poirier hanno disegnato un tappeto, poi realizzato in Nepal, e una serie di specchi colorati eseguiti sul modello delle vetrate delle cattedrali francesi.
Quando nel 2018 rivisitai il Palazzo in occasione di Manifesta 12, dove, tra le altre, era esposta un’opera di Maria Thereza Alves, apprezzai ancora di più il dialogo tra antico e contemporaneo espresso in modo non artificioso. Il restauro, curato dall’architetto Giovanni Cappelletti, ha convertito il Palazzo in centro per le arti e la cultura, per restituire a Palermo la sua vocazione internazionale.
Oggi Palazzo Butera è un cantiere aperto. Il visitatore ha l’opportunità di seguire, anche attraverso supporti tecnologici, i lavori che stanno via via restituendo il palazzo alla sua dimensione: un metodo esemplare per affrontare problematiche di rigenerazione del nostro patrimonio artistico e architettonico.