La cappella di San Biagio nella chiesa di Santi Nazaro e Celso, in via Muro Padri a Verona, rappresenta una delle testimonianze più rilevanti del Rinascimento pittorico in città. A Giovanni Maria Falconetto (1468-1534) spetta la regia dell’impianto architettonico della cappella e l’ideazione dell’intero progetto decorativo avviato a partire dal 1497.

Infatti, nonostante l’intervento ulteriore di Francesco e Domenico Morone, Falconetto fu l’unico a firmarsi a lettere capitali per ben due volte, non a caso anche sotto la figura del San Luca pittore, intento a dipingere. Il suo ruolo di architetto era intimamente correlato alla novità delle idee apprese nella frequentazione documentata presso Melozzo e Pinturicchio. Gli aspetti innovativi richiamano in parte i modelli moderni dell’Italia centrale, così come altri desunti dalle cupole bizantine dell’area ravennate, ben documentati nella galleria di apostoli alla base del tamburo della cupola.

Dopo di allora, Falconetto prosegue la sua attività a Verona con incarichi all’interno del Duomo, dove è documentato il suo intervento tra il 1500, nella Cappella Maffei, e il 1503, in quella Calcasoli. La presenza preponderante nei suoi affreschi di elementi architettonici dipinti ne rivela il carattere utopico, quasi fossero fogli di un grande trattato di progetti. Le immagini evocano costruzioni ricchissime e fantastiche, ricoperte di cimeli antichi, ma con figure spesso isolate, inserite in nicchie ristrette. Falconetto addensa la sua pittura di reperti archeologici con uno spirito da scopritore e collezionista, ricorrente nell’opera di umanisti come Felice Feliciano o di maestri celebrati come Andrea Mantegna, autore tra il 1457 e il 1459 della nota pala di San Zeno.

Falconetto è il solo autore delle lunette sulle pareti meridionale e settentrionale. Le figure di santi sono tra i saggi migliori della sua pittura, cui si affiancano i numerosi fregi in monocromo, destinati a raccontare storie bibliche. Nella parete settentrionale, intorno ai tre putti musicanti, sono Adamo ed Eva, Caino e Abele, il sacrificio di Isacco. Per la parte meridionale Falconetto concepisce un thíasos marino di forte suggestione iconografica, ispirato alle Zuffe di dèi marini di Mantegna e ai sarcofagi antichi studiati in precedenza a Roma.

In tutta la fascia mediana della cappella, il pittore ha profuso un’esauriente campionario della sua cultura antiquaria, con un puntiglio ancora sconosciuto a Verona. A Roma l’attenzione di Falconetto si era appuntata sulle testimonianze più facilmente accessibili della scultura antica: sarcofagi – molti riutilizzati come monumenti funebri, fonti battesimali o altari nelle chiese o collocati nelle piazze con funzione di arredo urbano – e rilievi dei monumenti trionfali, soprattutto l’arco di Costantino. Falconetto, dunque, non rinuncia all’ornato tradizionale con motivi a monocromo che imitano i marmi scolpiti, fregi e candelabre cari alla cultura umanistica quattrocentesca.

Tutta l’opera della cappella nacque nell’epoca umanistica in cui trionfa l’attenzione per la classicità greco-latina. Le iscrizioni, ispirate alla cosiddetta scrittura capitale romana, si rivolgono a una fascia elitaria di cultori della parola e delle fonti letterarie antiche, come dimostra l’inserimento della maschera di Giove Ammone nella chiave di volta di uno degli archi dipinti nella cappella.
