Esistono luoghi e figure storiche che attraggono la nostra curiosità, ma che la routine quotidiana ci impedisce di “frequentare”, rimangono per lunghi anni in attesa, da qualche parte nella nostra mente, fino al giorno in cui si percepisce l’urgenza e la necessità di visitarli; così la scorsa estate mi sono decisa ad andare in Puglia per recarmi a Castel del Monte dove Federico II ha lasciato probabilmente il suo segno più denso di significati, che ancora oggi ci interroga e affascina.
Federico II apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, nipote diretto di Federico Barbarossa e imperatore del Sacro Romano Impero, ma al di là dei titoli è stato il più illuminato e raffinato degli Imperatori che l’Italia e la cultura italiana potessero incontrare. A Palermo, presso la sua corte, riunì un gruppo di poeti, la Scuola Siciliana o “I Siciliani” come li chiama Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, che ha dato vita allo sviluppo della nostra splendida lingua.
Tra le opere che Federico II ci ha lasciato, Castel del Monte occupa un posto particolare per diverse ragioni: fu probabilmente proprio “lo Svevo” a volerlo, pensarlo, progettarlo e lo fece nella fase più avanzata della sua vita, tanto che non vide mai la conclusione dei lavori. Proprio per questo è un’opera incompiuta, “un non-finito”, una di quelle opere che rappresentano un lascito, dove è racchiusa una verità cercata per tutta la vita e forse trovata.
Federico è considerato un precursore dell’Umanesimo, la sua passione per le scienze, la poesia, la filosofia, l’astronomia gli ha valso il titolo di stupor mundi, il suo rigore intellettuale si rispecchia nell’esatto orientamento astronomico dell’architettura, nella figura dell’ottagono riproposto nella pianta, nelle otto torri angolari e nel cortile interno, con un equilibrio delle proporzioni talmente curato da far pensare più a un intento artistico/scientifico che a una progettazione funzionale a esigenze militari o di qualsiasi altra natura.
Ancora oggi la vera funzione di questo edificio non è chiara e nel corso dei secoli è stato utilizzato saltuariamente e per vari scopi, ma per fortuna nessuno ne ha mai alterato le forme o sovrapposto altre strutture. Persino i restauri e le ricostruzioni che si sono rese indispensabili hanno rispettato integramente l’impianto originario. Le decorazioni interne sono andate pressoché perdute, ma come accaduto ai templi o alle sculture antiche, aver perso il colore originario nulla toglie alla bellezza dell’opera, anzi la esalta.
Entrarvi, per chi ha consuetudine con l’arte moderna e contemporanea, non può che indurre a suggestioni che, anche se prive di un fondamento scientifico, accostano questo luogo a tanti artisti contemporanei: la forma così netta del perimetro ottagonale della corte interna che incornicia il cielo azzurro, non può non richiamare James Turrell. E chissà quanti artisti avrebbero voluto confrontarsi con questo spazio realizzando opere “site specific”, penso ai maestri dell’Arte Povera, come Jannis Kounellis, Giovanni Anselmo o Gilberto Zorio, e l’elenco sarebbe infinito perché Castel del Monte continua a interrogarci e affascinarci oggi con la stessa energia con cui Federico II stupì e meravigliò il mondo otto secoli fa.