Con la sua torre gotica e cicli di affreschi (tra cui la Madonna della Buonanotte di Bernardino Luini) che ne punteggiano l’architettura monastica, l’Abbazia di Chiaravalle è un simbolo dello spirito laborioso dei monaci benedettini che l’hanno fondata e che la abitano. L’Abbazia era alle porte di Milano, nella zona Sud, ma è ora sostanzialmente inserita nel contesto urbano, raggiungibile dal centro in auto, in bicicletta, in giornate particolarmente clementi perfino a piedi.
Chiaravalle è una cesura nel paesaggio, ed è diventata in anni recenti il simbolo della rinascita dell’agricoltura perché lì intorno è tutto un fiorire di orti, allevamenti, caseifici, norcini – un esercizio di urbanistica che sembra tutto contemporaneo ma che è in realtà antichissimo. L’Abbazia ha contribuito alla bonifica dei terreni circostanti nei secoli passati, trasformando le paludi della pianura padana in organismi produttivi. E infatti, proprio qui, intorno all’anno Mille i monaci inventarono il Grana Padano, la versione globalmente meno celebre del parmigiano, eppure preferita da molti. Qui l’antico mulino ha servito la comunità per secoli, anche grazie al suo orto annesso.
L’Abbazia di Chiaravalle è un luogo di rigore e di disciplina e mi è servita spesso come locus amoenus dove portare gli artisti in pomeriggi nebbiosi milanesi.